martedì 7 giugno 2016

Gli enigmi della 'Macchina del Tempo'




(in un noto film degli Anni Duemila):

la letteratura itineraria ed i suoi significati allegorici, dall'Antichità ad oggi



di K.Minýas



       Nello scorso mese d’ottobre (*) Rete Quattro ha rivisitato in veste televisiva un vecchio soggetto letterario di Herbert George Wells, The Time Machine, il primo romanzo da lui scritto.  Era il 1895 e subito quel libercolo di stampo fantascientifico – se ci è concesso d’usare il termine ante litteram – lo rese celebre, poiché fu tradotto in molte lingue (1).  Il tema d’un viaggio meccanico attraverso la temporalità è passato però agli onori delle cronache mondane soltanto nel 1960, allorché il regista G.Pal mise in pellicola per conto d’un produttore britannico (2) il libro senza dubbio maggiormente famoso dello scrittore anglosassone, di cui s’additano influenze vittoriane (Dickens, Meredith).   Di quel film è stato fatto un remake nel 2002, niente affatto scontato, da parte del pronipote Simon Wells.  Indubbiamente, per quanto riguarda il testo in causa ed altri del filone di genere fantastico-scientifico si deve addebitare una preponderante influenza tanto sulla soggettistica quanto sullo stile narrativo al celebre autore francese Jules Verne, forse il vero padre della fantascienza (3),  a sua volta ammiratore di De Foe e Poe.
       Come si collochi invece simile tematica del viaggio mistico attraverso le spire serpentine del tempo nell’ambito della letteratura britannica ed europea piú in generale, è presto detto.  Fuori del novero, ovviamente, stanno quelle opere di semplice erudizione storico-antropologica da parte di autori greci quali Erodoto (V sec. a.C.) o Pausania (II sec. d.C.) nonché i cd. Itineraria d’autori minori latini del III-IV sec. d.C. Circa tutto il resto, sarà d’uopo rammentare che i primi viaggî letterarî europei in funzione edificante furono condotti alla volta dell’Eden, secondo quel che è stato documentato a suo tempo dal Graf nel suo maxi-art. Il mito del Paradiso Terrestre (4).  Nell’App.I questi raccolse tutte le principali citazioni sull’argomento, da Tertulliano (II sec. d.C.) a F.Frezzi (XIV sec.), passando fra numerosi autori tra i quali San 



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Basilio Magno (IV sec.) ed A.Neckam (XII-III sec.); nell’App.II eran menzionate le fonti dell’escursione leggendaria di Seth, paradigma di tutte le altre di natura biblica (5).  La tradizione cristiana clericale e dotta s’è snodata in parallelo alla riesumazione in chiave nazionalistica delle tematiche misterico-itinerarie dell’epica delle varie culture indoeuropee, nonché ai percorsi fiabistici ed iniziatici dei tradizionali e regionali fairy tales. 
       Vedi ad es. la leggenda italo-celtica del ‘Paese dove non si muore mai’ (6), versione popolare di quell’Aurea Civitas menzionata nell’Apocalisse di S. Giovanni e del pari nel folclore hindu, particolarmente kashmiro (Kanakapura).  Per giungere a quella meta agognata, alfine perduta per distrazione e sciocca soggezione alla Morte in forma di Carrettiere, il protagonista visita la sede di 4 mitici Antenati che hanno la barba rispettivamente fino al petto, alla cintola, ai ginocchî ed ai piedi (7).  Codesto viaggio apparente nello spazio indefinito circostante è in realtà un viaggio nel tempo in doppia direzione, prima a ritroso e poi invertito (come ogni iniziazione prevede); ma l’illusione del giovane itinerante di potersi reinserire nel vecchio mondo dove lui aveva vissuto, come se nulla fosse successo, farà sí che l’inevitabile consunzione del tempo annientatore d’ogni cosa lo travolga nel vano tentativo d’un ritorno prima alla propria comune dimora e poi a quella immortale.
       Piú spesso il viaggio paradisiaco risultava maggiormente generico, al modo di quello dei leggendarî personaggî ornitomorfici del poema didattico-allegorico neo-persiano di genere masnavî La Lingua degli Uccelli (Manteqo ’t-teir), di F.Attar (XII-XIII sec.), ispirato ad un trattato quasi omonimo di Al Ghazzâlî.  In tal caso tuttavia è al Paradiso Celeste che bisogna guardare, sebbene il Castello del Sîmorgh (ovvero lo Shâh-morgh, il ‘Re degli Uccelli’) si situi sulla tipica montagna sacra in apparenza, e non in cielo; ma è un monte fatato, “velato di mille veli di luce e di tenebra” (8).
       Trattavasi insomma d’una doppia eredità, della cultura classica da un lato e di quelle barbare od orientali dall’altro.  Basti pensare agli antichi itinerarî di certi personaggî mitologici (titanici o semidivini) quali Apollo od Eracle, invero figure solari, verso il Paese degl’Iperborei.  Oltremodo curioso che negli sviluppi recenti della letteratura e del cinema di fantasia nomi altisonanti quali Kronos e Hyperborea siano addivenuti, nella trasformazione sub-culturale del



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simbolo in mera invenzione fantastica occorsa nel mondo odierno, il primo un conquistatore cosmico (9) e l’altra una sede ultragalattica (10).
       Nella Tarda Antichità si ebbero pure viaggî in cerca della leggendaria Thoúlê ( lat. Thýlê ), di cui ci narrò il navigatore marsigliese del IV sec. a.C. Pitea (11).  Al di là degli etimi eruditi riportati spesso fuori luogo dagli specialisti, la parola greco-latina sembra non risalire ad un terminologia nordica, bensí al comune etimo indoeuropeo indicante un’estensione piatta, donde il lat. tellus (’terra’) ed il scr. tala (‘superficie’).  Alla medesima radice si collegano, del resto, il gr. hylê (‘selva’) ed il scr. ilâ (‘terra’, nel senso probabilmente di superficie boscosa).  Quest’ultima voce è altresí rintracciabile nel composto Ilâvarta (‘Terra Nascosta’), da cui è possibile derivi realmente l’idea variamente diffusa d’una Thule – in sostanza ‘Terra’ – scomparsa.  Se non mostrassero i loro soliti radicati pregiudizî etnocentrici, che fanno mostra d’aver messo da parte ma che inconsapevolmente o meno detengono ancora nel profondo, gli scrittori con idee destrorse si accorgerebbero che Thule non può esser mai stata la patria degl’Indoeuropei.  Dato che l’Indoeuropeo è una famiglia linguistica, frutto d’indagini contemporanee, non un ceppo etnico.  Semmai era la patria, secondo le leggende, dell’originaria Razza Bianca di cui ci parlano i testi sacri hindu o certe tradizioni elleniche e ciò costituisce assolutamente un’altra cosa.  Visto che, come riconoscevano d’altronde due esperti in materia come Evola e Guénon, a quella mitica terra beata – chiamata Tullan e tratteggiata nei sacri dipinti in forma di Montagna Bianca col Sole-Albero-Dio-Uomo-Capo al Centro – si richiamavano analogamente popoli appartenenti ad altre etnie extraeuropee quali i Toltechi.
       La saga dell’eroe gaelico Oisin/ Ossian, l’Eroe-cerbiatto volto alla ricerca del Tir na nOg (12),  esemplifica viceversa i viaggî di beatificazione di cultura barbaro-occidentale, prima dei quali andrebbero tuttavia annoverate le ‘Navigazioni’ (Immrama), narrazioni di visionarî percorsi marittimi a mezzo d’imbarcazioni incantate (13), in seguito cristianizzate nel fantasioso periplo di San Brandano (Navigatio Sancti Brendani)(14).  La ‘Terra di Giovinezza’ era collocata ora ad occidente ( cfr. col mito atlantideo ), ora a settentrione (cfr. col mito iperboreo, narrato da Plutarco e 



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Diodoro Siculo).  Negli ultimi due libri del poema indiano del Mahâbhârata troviamo, egualmente, i Panduidi in viaggio alla volta del Monte Meru, situato al centro dell’Ilâvarta.  Il che dimostra che il Dvîpa (‘Isola-continente’) originario non poteva esser semplicemente l’Artide, ma estendevasi tutt’attorno nell’ambito della superficie un tempo emergente, di sicuro diversa da quella odierna.
       Tutti gl’itinerarî spaziali dei quali abbiamo parlato rappresentavano simultaneamente degl’itinerarî temporali, secondo logica.  In quanto miravano a delineare il passato aureo della storia umana, cercando di riportarlo almeno virtualmente nel presente, in vista d’una reale reintegrazione futura con esso.  Si consideri, in proposito, il mitema del perpetuo ritorno.  Ad essi eran seguiti in tempi cristiani, lungo il corso della civiltà tardoantica e poi di quella medievale, paralleli viaggî aventi quale meta il ritrovamento dell’Eden.  Come bene ci ha illustrato il Graf (15).  Il mondo islamico, in particolare Nîzamî, ha impiegato altri simboli come la Fontana di Giovinezza dislocata nell’Oscura Contrada o Terra dell’Oscurità, cui l’Eroe Iskandar (Alessandro Magno) – che il Qûr.- xviii. 82 definisce enigmaticamente il ‘Bicorne’ – vorrebbe attingere assieme al saggio e verde-tunicato Khizr (16), ma la sostanza rimane la stessa.  Trattasi, in un modo o nell’altro d’una riscoperta del Paradiso Perduto, la quale risale nei suoi prodromi a vetusti poemi come quello sumero di Ghilgamesh.  Pure Iskandar, non troppo diversamente dall’eroe mesopotamico, fallisce comunque nella cerca.  Poiché, se il primo vede sfumare la Pianta di Eterna Giovinezza per essersi addormentato, il secondo analogamente vede svanire la magica ‘Fonte’ una volta raggiunta.
       Rientrando piú specificamente all’interno della letteratura anglosassone, le prime allucinanti e luciferiche visioni del futuro risalgono alla Nova Atlantis del falso imperâtor rusicrociano Francis Bacon (17), araldo della scienza applicata moderna.  Veniva agognato, in relazione ad una ‘Casa di Salomone’ ormai decisamente profanata, un paradiso artificiale frutto di malsane ed ingiustificate sperimentazioni.  ‘Il Mondo Nuovo’ huxleyano ne fu il giusto erede nel Secolo Ventesimo.  Poco dopo gli ultimi bagliori della saga paradisiaca, rinverdita da parte di John Milton alla fine dell’Età Puritana (1620-60) col suo Paradise Lost, a partire dalla 



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prima metà del Settecento – che gl’inglesi definiscono l’epoca classica od augustea della loro letteratura – c’imbattiamo in un filone prima inusitato: la novellistica, con Daniel De Foe per pioniere.  Soprattutto tramite le arcinote descrizioni del suo The Life and Strange Surprising Adventures of Robinson Crusoe (nonché dei due séguiti), ispirate alle quotidiane peripezie per la sopravvivenza d’un marinaio scozzese, certo Selkirk, vissuto per circa un quinquennio sull’isola di Mas-a-tierra nell’Arcipelago di Juan Fernandez, al largo delle coste del Cile.  Il successo della novella spinse l’autore ad elaborare due ulteriori storie.  Ecco divenire allora predominante la scoperta realistica del mondo ignoto in senso geografico-naturalistico, la qual cosa funse necessariamente da stimolo intenzionalmente positivo per i cambiamenti sociali che si volevano introdurre in patria.  Sarà però soprattutto l’irlandese Jonathan Swift, colla sua splendida satira politica dei Gulliver’s Travels, il primo a rianalizzare il vecchio problema del giusto governo molti secoli dopo Platone.  Che sono le tragicomiche terre dei nani (Lilliput ), dei giganti ( Brobdingnag) o dei cavalli sapienti dominanti sugli uomini stupidi, oppure l’Isola Volante (Laputa) dei filosofi e degli scienziati pazzi, se non un’allegoria condita col tipico humour britannico dell’irragionevolezza del mondo empirico albionico fra il XVII ed il XVIII secolo?
       Le metafore e le allegorie dell’Inghilterra settecentesca riecheggiano esclusivamente nei modi le antiche avventure misteriche.  Le nuove avventure infatti hanno carattere morale, sono prive di connotazioni esoteriche.  Non sono semplicemente le vecchie corrette coi ricordi dei reali viaggî intercontinentali volti alla scoperta di nuovi lidî ed attuati nel Cinquecento e nel Seicento (18).  Questi ultimi, a loro volta, avevano spostato verso l’America e l’Africa le esplorazioni tardomedievali dell’Asia da parte dei viaggiatori cristiani o musulmani, i resoconti dei quali (da Mandeville a Polo, da Alberuni ad Ibn Battuta) apparivano ancora di per sé troppo conditi di elementi “meravigliosi”, insomma di residui medievali.  I viaggî post-esplorativi di Crusoe e di Gulliver al contrario, pur essendo itinerarî basati sulla finzione letteraria, hanno preparato inevitabilmente una critica moderna della società feudale in chiave illuministica e buonselvaggista.



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       Tornato in auge brevemente presso i Preromantici (vedi D.G. Rossetti), l’iter iniziatico scadrà presto di nuovo e ancor di piú di prima – questa volta scenderà ad un livello anarco-individualista piuttosto che etico-sociale – col Primo Romanticismo (Wordsworth, Byron ecc.).  Nella fase susseguente, che vedrà il trionfo del Secondo Romanticismo e parallelamente d’una concezione filosofico-materialistica della storia, la staticità delle concezioni filosofiche tardo-ottocentesche impedì l’apertura dinamica verso altre mete che non fossero un nuovo riequilibrio politico ed un’aumentata spinta verso il benessere sociale.  Le visioni utopiche nei secoli precedenti di Moro e di Campanella, ultimo vero retaggio giunto in età moderna del potere di trasformazione ideale dell’uomo rappresentato dal messaggio paradisiaco, si sono definitivamente addensate ed impoverite nell’economicismo falsamente profetico del socialismo libertario, teorizzante una società senza classi.  Dal basso, purtroppo, anziché dall’alto.  Qui subentra l’ideologia futuristico-decadente di scrittori quali Wells, nel vano tentativo di rimodellare gli antichi itinerarî spirituali.  Meta tuttavia non diviene come una volta la sovrannatura, ma la mera pace politico-sociale.  Quel che risulta interessante, in ogni caso, è il fatto che codesta rinnovata visione del mondo non si collochi piú avanti linearmente nel percorso che la distanzia dal passato leggendario, bensí s’avvolga in maniera fluida attorno alle antiche certezze; e, pur misconoscendole in base al sordo punto di vista contemporaneo, le contempli ciononostante in una visione conflittuale fra passato ed avvenire.  Al di là dunque delle considerazioni logiche dell’autore sull’esistenza d’una quarta dimensione oltre le normali tre dimensioni spaziali (lunghezza, larghezza ed altezza), che permetterà al protagonista d’inabissarsi o d’elevarsi in qualità di Time Traveller colla sua Time Machine nella Londra d’altri tempi, passati e futuri, quando la città ancora non esisteva o non esisterà piú, rimane la constatazione che Wells pone in antitesi la vita secondo natura degli Eloi colla vita artificiosa dei Morlock.  Ai primi ovviamente va il suo consenso, dato che alla fine della storia egli rimarrà con Weena (Mara nel secondo film), la donna amata conosciuta nel futuro.
       Riflettiamo perciò adeguatamente sul punto d’arrivo.  Passati in disuso i viaggî in cerca dei nostri progenitori adamitici ed 



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accantonate le ambizioni di ritrovamento di condizioni auree d’esistenza, l’itinerario ha smesso anche di essere geografico ed il ruolo svolto dal viaggiatore rispetto alla propria meta è stato persino ribaltato  Ossia De Foe e Swift, pur delineando dei personaggî metaforici ed allegorici, si limitavano in fondo ad esplorare la natura selvaggia e tribale, mostruosa od animalesca, dinanzi all’uomo civilizzato.  Il selvaggio dovrà d’ora in poi civilizzarsi, aggiornarsi.  Non toccherà all’uomo decaduto riprendere la sua fisionomia a poco a poco perduta nel passaggio dei millennî, come avveniva in precedenza.  Le iniziazioni delle confraternite divengono obsolete.  Non c’è nulla ormai da cercare se non dentro di noi.  Con Darwin infatti Adamo era morto, la scienza lo aveva seppellito senza troppi patemi d’animo.  A questo punto l’ingresso di Wells nel mondo letterario non poteva che apportare un cambiamento decisivo, la nuova realtà da lui esplorata essendo la coscienza.  È la coscienza difatti, coi ricordi proiettati nel passato ed i sogni proiettati invece nel futuro (cosí s’esprimerà l’Ubermorlock durante la scena di lotta furibonda col Viaggiatore del Tempo), a costituire un reale veicolo attraverso i meandri del divenire temporale.
       Nella trama del secondo film, ambientato a N.York anziché a Londra, è aggiunta una parte assente nel primo e nel romanzo, l’esperienza assai dolorosa della morte della propria beneamata in un fatale incidente.  Alexander Hartdegen riesce a rivederla tornando indietro nel tempo e la bacia con molto trasporto, stringendola a sé come mai aveva fatto prima, per timore che l’attimo fugga via.  Tal fatto purtroppo provoca quasi in lui un senso d’irrealtà, poiché lei non ha coscienza di quello che sta per succederle e quindi non capisce i gesti apparentemente eccessivi del suo uomo.  Alexander vorrebbe tornar indietro di continuo, al fine di viver senza tragiche interruzioni la storia d’amore colla propria donna.  Sennonché, cosí facendo, finirebbe per rivivere ripetutamente la personale drammatica esperienza, vedendo la propria amata assurdamente morire una volta dopo l’altra.  Una condizione insomma troppo dura da accettare.  Che mezzo gli rimane allora per sfuggire alle grinfie di Chronos?  Il tempo è un tiranno terribile, non dà scampo.  La morte ne è una mera schiava, ma è il tempo che in realtà conduce qua e là la danza della



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creazione e della distruzione del cosmo, rendendo il mondo impermanente.  Come insegnano gl’indiani, del resto.       
       Il pronipote di Wells spinge allora il protagonista della vicenda filmica a proiettarsi in avanti nel futuro di oltre 800.000 anni, spezzando in tal modo il destino.  A questo modo può intervenire seppure futuristicamente mascherato il tema del ricambio sociale, già affrontato da Swift nel Settecento colla satira.  Unitamente continua a farsi strada il mito del Buon Selvaggio, che il Novecento ha tuttavia trasformato in Cattivo Selvaggio, ma già nel bisnonno di Simon avevamo a che fare con un selvaggismo decaduto.  Il romanzo ci svelava infatti che nell’anno 802.701 (il che è come dire 2000…) l’evoluzione e la relativa involuzione ad essa inerente avrebbero portato l’umanità ad un bivio: da una parte gli Eloi, dediti ad un <comunismo primitivo> e costituenti una società senza malati né vecchî (19); dall’altra i Morlock (20), creature sotterranee e demoniche cannibalisticamente dedite al sacrificio.  Come afferma il testo in causa (21), gli Eloi erano stati l’aristocrazia dell’umanità in un tempo precedente ed i Morlock i servi meccanici degli Eloi.  Col tempo le cose si erano però invertite.  Insomma, se volessimo trarre una morale da siffatta condizione futura – non a caso ambientata nel … Duemila – potremmo affermare che George Wells ebbe la coscienza <apocalitticamente>, pur in un contesto prossimo al socialismo utopico di Fine Ottocento anziché al cristianesimo, che la macchina prima o poi avrebbe «divorato l’uomo».
       Nel film del pronipote, ambientato non a Londra ma a N.York (22), il ritratto del mondo sotterraneo è maggiormente esasperato rispetto all’originale letterario.  Le creature bestiali che lo popolano appaiono simili a spiriti delle tenebre mentre si pascono della comune umanità, ridotta al rango di larve umane.  Ciononostante è solamente in costoro che è rimasto qualcosa dell’antico dono della vita, gli altri appaiono creature infernali.  Alla fine s’arriva a scoprire che i Morlock sono in realtà creature guidate come marionette dalla mente d’una figura demiurgica non meglio definita e che potremmo chiamare platonicamente il ‘Nómos’, dal momento che non è presente nel romanzo.  Sebbene nel film si presenti solamente come uno dei tanti loro dominatori ed i titoli di coda l’annuncino in modo sibillino quale Ubermorlock.  L’equivoco 



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personaggio, gelidamente ma splendidamente interpretato da Jeremy Irons, conosce il senso di tutto il viaggio di Alexander e gli svela che, utilizzando i mezzi tecnologici piú sofisticati quali il controllo del pensiero (richiamo inevitabile sul suolo americano all’Mk-Ultra?), lui e i suoi pari hanno potuto assoggettare i Morlock e spingerli contro gli Eloi.  L’avversario del protagonista sta a costui esattamente come l’Avversario stava all’Eroe nelle rappresentazioni mitiche arcaiche.  Vale a dire, non è anche questa una metafora del nostro tempo – pur se inconsapevole persino nelle intenzioni del regista – in cui osserviamo  la Confraternita (a quanto si vocifera) dirigere segretamente le cose del mondo da bunker sotterranei, cercando assurdamente di produrre mostri ed alieni allo scopo di sperimentare una specie di vita parallela che nulla ha a che fare colla stirpe adamica ed evaica e colle creature animali che quietamente si tramanda li circondassero nel leggendario giardino edenico?
       La metafora dei due Wells, volendo concludere, non è ambientata nella geografia esteriore, ma piuttosto in quella interiore.  Sarà cosí che potrà finalmente ricominciare per i protagonisti una serena vita di coppia, in fondo la vera meta del vivere.  Non ci furono in origine unicamente il Padre, la Madre e il Figlio, tanto a livello divino quanto umano…?  E non era certo a caso che lo scrittore s’era fatto scappare in un capitolo (23), riguardo le genti da lui visitate, la definizione di “quegi esseri dell’Età dell’Oro”.  Quantunque si abbia ivi a che fare con un’età aurea vissuta furtivamente, ossia attraverso la cortina fumogena d’un sogno irreale. 




Note

      (*)          Il riferimento è al 2009.
(1)         H.G. Wells, La Macchina del Tempo- Rizzoli, Milano 1959, Nota di R. De Michele, p.9.
(2)         Tit.or. The Time Machine, tit.ital. L’uomo che visse nel futuro.
(3)         Il termine inglese equivalente è science-fiction, cioè ‘fintascienza’.
(4)       A.Graf, Miti, leggende e superstizioni del Medioevo- Loescher, Torino 1892, Vol.I, Cap.IV del primo art. n.num. sgg.
(5)       Altre se ne sono aggiunte, chiaramente, dopo le preziose scoperte di antichi manoscritti del XX sec.



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(6)         La fiaba è stata oggetto d’un nostro allestimento per burattini e come tale riprodotta nel secondo episodio, omonimo, del corto Il gusto dell’animazione, 1998.
(7)         Per un riferimento letterario nostrano cfr. la fiaba n.27 della classica raccolta di I.Calvino (Fiabe italiane- Einaudi, Torino 1956, Vol.I, pp. 92-4), ma esistono anche una forma toscana ed una celtica della stessa storia, nelle quali il riferimento al Paradiso Terrestre è piú esplicito.
(8)         Per un approfondimento rimandiamo ad A.Bausani, La letteratura neopersiana- Sansoni/ Accademia, Firenze-Milano 1968, Cap.IV, p.446 ss.  Vedi inoltre G.Acerbi, Sulle tracce del Simorgh. Il simbolismo ornitomorfico nel primo poema di Farid ud-Din Attar- Hera (mag. ’09), N°113, Binasco (Pv) 2009 sgg.
(9)         Vedi la pellicola di K.Neumann Kronos, il conquistatore dell’universo, 1957.
(10)      Altro film, di cui purtroppo non ci vengono in mente né titolo né autore.
(11)      L. G. De Anna, Thule. Le fonti e le tradizioni- Il Cerchio, Rimini 1998, Cap.I, § 2 sgg.
(12)      F. Le Roux, La religione dei Celti, apud AA.VV., Slavi, Balti, Germani e Celti- Laterza 1977 (ed.or. Parigi ‘70), pp. 141-2.
(13)     Ibîd., p.141.
(14)     M.A. Grignani (a c. di), La navigazione di San Brandano- Bompiani, Milano 1975.
(15)     Ibîd. come alla 4.
(16)     Cfr. A.K. Coomaraswamy, Khwaja Khadir and the Fountain of Life in the Tradition of Persian and Mughal Art (art. raccolto nella coll.post. What is Civilization?- Oxford Un., Oxford et al.1989, p.161).
(17)     Del filosofo elisabettiano si può dire che abbia rappresentato in negativo tutto ciò che dopo in positivo fu rappresentato da I.Newton.
(18)     Un panorama completo ed esauriente delle esplorazioni rinascimentali e dei grandi navigatori che solcarono gli oceani dopo la scoperta dell’America da parte di Colombo è reperibile in J.H.Parry, Le grandi scoperte geografiche- Il Saggiatore, Milano 1963 (ed.or. Londra ‘62).
(19)     Ibîd. come alla 1, Capp. IV, pp. 43-6 e V, p.61.
(20)     Come giustamente ci ha suggerito il dott. Albrile, il nome si rifà visibilmente all’ebr. Moloch, termine che effettivamente in lingua inglese è comunemente usato quale sinonimo di sacrificio inutile.
(21)     Cap.VII, p.83.
(22)     Per incongruenza colla geografia locale della Baia di Hudson, formata dall’omonimo fiume, nell’opera del discendente viene lasciata l’ambientazione originale d’un paesaggio posto sul declivio d’una vallata, come se fosse il Tamigi molto millennî dopo.
(23)     Cap.V, p.61.




Indice delle Illustrazioni



1.       L’Eden come Vaso, immagine d’un viaggio interiore di perfezionamento, speculare in senso microcosmico a quella macrocosmica del Paradiso come Monte (Wynandus de Stega, disegno da manoscr. vaticano, Codex Palat. Latinus, XV sec., Bibliot. Vatic., Roma).

2.       L’Eden quale perno della Ruota del Tempo prima e dopo la Cacciata (G. di Paolo, Cacciata dal Giardino, Coll. Lehman, N.York, XV sec.).

3.       Viaggio dell’anima d’un vecchio saggio (Zâl, alter-ego di Zurvân Akârana, il Tempo Infinito) sulle possenti ali del Sîmorgh verso la vetta del mitico Monte Elburz, dove cresce il sacro Haoma (Anon., miniatura persiana, framm. d’uno Shâh Nâma di Tabriz, XIV sec., Bibliot. Topkapu Sarayi, Istanbul).

4.       Il Dio Tredici tolteco in asse coll’Albero Cosmico ed in posizione d’orante nell’atto d’invocare benedizioni su tutto l’universo, dal vertice della Montagna Sacra ed in mezzo ai Dodici Dei stellari (J.J.Hoil, disegno da manoscr. maya, Chilam Balam di Chumayel, 1782 ).

5.       Id. (guaché dell’A., onde meglio evidenziare il soggetto, 1980 c.).

6.       Yama, il Primo Morto, e il sacro Monte Sumeru col suo riflesso infero, il Monte Kumeru: al centro dei due monti sta un Vaso Sacrificale, emblema degli Antenati primevi (Anon., pittura murale himalayana di stile indiano e popolareggiante, monastero di Lachung, Sikkim, XVIII-IX sec.).

7.       Linga di Śiva a mo’ di Monte Kailâs, un doppione del Meru (stalagmite di ghiaccio scioglientesi periodicamente d’una grotta montana del Kashmîr, circondata da molti asceti ed oggetto d’intensi pellegrinaggî rituali).

8.       Il Profeta Elia (figura alternativa a quella di Mosé o di Alessandro) e Khizr, santo patrono dei viaggiatori islamici, immergentisi nella Fontana della Vita (A.A. al-Harawî, miniatura persiana, Khamsa di Jâmî, 1531, Trinity Coll., Cambridge ).

9.       Rappresentazione schematica del pellegrinaggio alla Mecca, dove i pellegrini debbono fare 7 giri in senso polare attorno alla Ka’aba, come se fosse l’Orsa (Anon., disegno da manoscr. islamico del XVI sec., Biblioth. Nation., Parigi).

10.   Immagine di Robinson Crusoe nell’isola semideserta (N.C. Wyeth, illustraz., 1920).
11.   Immagine di Gulliver a Lilliput (A. Rackham, illustraz., 1909).

12.   Alexander ed Emma proco prima dell’inevitabile dramma della morte di lei (S. Wells, 2002, The Time Machine, foto di scena).

13.   La speciale macchina di Alexander, fatta d’ottone, per viaggiare nel tempo ( id.).

14.   Guy Pearce nella parte di Alexander, mentre viaggia colla Macchina del Tempo attraverso il Passato e il Futuro ( id.).

15.   I Morlock ( id.).

16.   Jeremy Irons nella parte dell’Ubermorlock , P.P. (id.).

17.   Ubermorlock, C.I. (id.).

18.   Ritratto di Mara, la Weena del romanzo, P.P. (S. Wells, 2002, The Time Machine, foto di scena).

19.   Id., P.I. (id.).

20.   In una fragile sfera di cristallo, che sboccia da un fiore, due amanti paiono rinnovare il mistero della coppia originaria (H.Bosch, dett. dal Giardino delle Delizie, Mus. del Prado, Madrid).

21.   Gli Amanti, presso la Montagna del Paradiso Terrestre (carte tradizionali, VI Lama, Tarocco inglese .


Fonti

1.       E.Neumann, The Great Mother- Bollingen, Princeton, p.n.num., tav.169.
2.       AA.VV., Enciclopedia delle Religioni- Vallecchi, Firenze 1970, Vol.I, a fr. di pp. 1057-8, tav.82.
3.       B.Gray, Persian Painting- Skira/ Rizzoli, Ginevra/New-York 1977,  p.41, fig. n.num.
4.       R.Girard, La Bibbia maya- Jaca Book, Milano 1976, p.54, fig.8.
5.       Collez. pers.
6.       M.Singh, Arte himalayana- Silvana, Milano 1968, p.249, fig. n.num.
7.       Collez. pers.
8.       L.Binyon et al., Persian Miniature Painting- Dover, N.York 1971, p.n.num., tav. XC- A.
9.       J.C. Cooper, An Illustrated Encyclopaedia of Traditional Symbols-  Thames and Hudson, Londra 1978, p.91, ill. in alto.
10.    Illustr. del Wyeth, dal web.
11.    Illustr. del Rackham, dal web.
12.    Foto di scena pubblicitaria, dal web.
13.    Scannerizzazione personalizzata tratta da un’immagine della sovracopertina anteriore della vhs del film The Time Machine, di S.Wells, Dreamworks & Warner Bros. 2002, in bas.
14.    Foto di scena pubblicitaria, dal web.
15.    Scannerizzazione personalizzata tratta da un’immagine della sovracopertina posteriore della vhs del film The Time Machine, di S.Wells, Dreamworks & Warner Bros. 2002, in alto a sin.
16.    Foto di scena pubblicitaria, dal web.
17.    Foto di scena pubblicitaria, dal web.
18.    Scannerizzazione personalizzata tratta da un’immagine della sovracopertina posteriore della vhs del film The Time Machine, di S.Wells, Dreamworks & Warner Bros. 2002, in alto a des.
19.    Scannerizzazione personalizzata tratta da un’immagine della sovracopertina anteriore della vhs del film The Time Machine, di S.Wells, Dreamworks & Warner Bros. 2002, in al.
20.    AA.VV., Enciclopedia delle Religioni- Vallecchi, Firenze 1970, Vol.IV, tav.94, a fr. di pp. 1569-70. 
21.  P.D. Ouspensky, The Symbolism of the Tarot…- Dover, N.York 1976, tav. in cop.mob.  (Lama VI).



 Fig.1

 Fig.2

Fig.3

 Fig.4

Fig.5


Fig.6

 Fig.7

Fig.8

Fig.9


Fig.10

 Fig.11


Fig.12

Fig.13

Fig.14

 Fig.15

 
 Fig.16
 

Fig.17

  Fig.18

 Fig.19


Fig.20

Fig.21




Appendice

                  Riportiamo qui i due video tratti dai rispettivi film sulla 'Macchina del Tempo' ai quali si fa cenno nel testo di quest'articolo, uno del 1960 (Time Machine ovvero L'Uomo che visse nel futuro, di George Pal) e l'altro il remake del 2002 (Time machine ovvero La macchina del tempo, diSimon Wells).  Segue un terzo video, tratto dal film del 1979 L'uomo venuto dall'impossibile (cioè Time after Time, di N.Meyer): questo film intermedio non è ispirato al romanzo, ma immagina che l'autore prima di scriverlo abbia creato una vera macchina con cui viaggiare nel tempo, e finisce per arrivare nel mondo contemporaneo, così com'era nel 1979.



  (di G.Pal, 1960)


(2002, di S.Wells)

Altro link interessante è quello sul viaggiatore del tempo che afferma di provenire dal 2036 e 
parla della Terza Guerra Mondiale:






    In ultimo, ecco un video che tratta del cronovisore, una misteriosa macchina creata da un monaco benedettino, capace di captare suoni ed immagini delpassato.  Infatti ogni essere vivente lascia dietro di sé una scia magnetica che può essere recuperata in situazioni speciali o con mezzi appositi.  I fantasmi agiscono in tal maniera.  Non sono eventi reali, ma simulacri di eventi già trascorsi, che la mente attraverso i sensi può carpire.